DICONO DI LUI…
"Quando De Stefano
mi ha proposto di redigere la prefazione al suo libro,
gli ho riferito che non ero all'altezza del compito e [...] gli
avrei fatto più danni che benefici. Tuttavia, constatando la
pervicace e coinvolgente passione musicale di questo sociologo
italiano, nonché le sue opere saggistiche di stampo musicologico, ho
cercato di rintracciare nei miei scritti, qualcosa che potesse
essere utile alla sua causa"
(Zygmunt Bauman,
dalla Prefazione di Una storia sociale del jazz)
"Ciò che mi
sorprende positivamente è che tutto ciò, ed altro, è riportato con
grande competenza in questo libro largamente dedicato al ragtime, da
un critico musicale italiano, Gildo De Stefano, già avvezzo alla
cultura neroamericana. Un’opera di grande significato culturale in
cui l’autore ha affrontato temi, nonostante entrati nel Terzo
Millennio, per molti europei ancora oscuri quali l’honkytonk
e lo stride-style, oltre ad un corposo profilo esaustivo sul
massimo esponente del genere, Scott Joplin. Il lavoro di De Stefano
si inserisce di diritto tra quegli esigui libri su questo specifico
argomento, condotto con estrema serietà, pubblicati in Europa.
(Amiri Baraka/Leroi Jones, dalla
Prefazione di Ragtime, Jazz & dintorni)
"Sicuramente l’incontro con Gildo De
Stefano, per questo libro sulla musica popolare brasiliana, mi ha
fatto rivivere il mio periodo romano. Oggi la musica brasiliana in
Italia ha un buon seguito: un pubblico forse non molto numeroso ma
fedelissimo"
(Chico Buarque de Hollanda, dalla
Prefazione di Saudade Bossa Nova)
"Trovo encomiabile questo tentativo di
Gildo De Stefano di proporre ai fruitori di musica del nostro paese,
spesso distratti da insulse mode imposte dalle multinazionali del
disco, una piccola storia dei ritmi del popolo brasiliano che non
solo chiarisca le idee ma aiuti a far capire il grande valore di un
movimento che, insieme al blues nord-americano e alle sonorità
afro-cubane, rappresenta la base di buona parte della musica che si
consuma attualmente e ha scandito la comunicazione del nostro tempo"
(Gianni Minà, dalla
Postfazione de Il popolo del samba)
"La bravura di De Stefano sta proprio nel
decrittare l'idioma del genere con chiarezza e precisione senza mai
separare la componente puramente musicale da quella etnografica"
(Giorgio Fontana, La Stampa)
"De Stefano, ma anche Zygmunt
Bauman nella sua introduzione, più che alla creazione pensano
all'ascolto, quasi coincidendo nell'opinione silente sulla crisi del
jazz. Crisi creativa, non di consumo, consumo diventato liquido,
ricorda
Una storia
sociale del jazz,
lasciando l'ascoltatore/consumatore/jazzofilo di fronte ad una
potenziale discoteca sterminata, ma più solo di prima, privo
dell'ipotesi di comunità..."
(Federico Vacalebre, Il
Mattino)
“Le
carte di Gildo De Stefano sono quelle di
chi ancora giovane ha avuto il giusto approccio con il jazz […]
Quindi, grazie Louis per
avermi spiegato a suo tempo il jazz; ma grazie
De Stefano per aver contribuito a spiegarmi
Louis…”
(Renzo
Arbore, dalla
Prefazione
di
Louis
Armstrong)
"Proprio l'accenno alla 'liquidità'
musicale del jazz incuriosisce in particolar modo giacché rimanda ad
uno dei pensatori più originali ed acuti del nostro tempo, Zygmunt
Bauman [...] Momenti di qualità che De Stefano riscopre e ripropone
in una sintesi al tempo stesso colta e popolare"
(Antonio Filippetti, la
Repubblica)
“Il libro di Gildo De Stefano,
ricchissimo di particolari sulla società americana in via di sviluppo,
sulle sue contraddizioni, sui suoi problemi, attraversa felicemente
tre secoli di storia, si pone come ottimo approccio per arrivare in
seguito allo studio di quella musica che verrà poi nel nostro secolo e
che, fiorendo dagli spirituals e dai blues, si chiamerà jazz…”
(Vittorio
Franchini, Corriere della Sera)
“Doppio è il punto di vista di De
Stefano. Musicale da un lato con ricchezza di riferimenti, anche
tecnici, al modo in cui la musica jazz è stata ‘costruita’.
Socioantropologico dall’altro poiché, come annota lo stesso De
Stefano, il jazz è impensabile senza la società nella quale vivono i
musicisti … La prospettiva ideologica nulla toglie alla passione e
alla cura dello storico”
(Corrado Augias, Panorama)
“Storia
del ragtime rimane l’opera di De Stefano più opportuna e più
approfondita. Opportuna perché si è occupato finalmente di una
corrente musicale sulla quale in Europa esistevano (ed esistono
tuttora) pochissimi studi validi; approfondita perché l’argomento era
unico, e in duecento pagine più discografia l’autore ha saputo
trattarlo con agilità, competenza e abbondanza di citazioni […Trecento
anni di jazz è narrato da De Stefano con intensa partecipazione e
con una singolare capacità di inserire la storia della musica nel più
ampio quadro delle vicende sociopolitiche…]
(Franco
Fayenz, La Stampa)
“De Stefano propone una efficace
sintesi della letteratura statunitense sul ragtime, per la prima volta
in lingua italiana. L’utilità divulgativa del risultato è
indiscutibile, l’interesse del libro –per addetti e non addetti ai
lavori- altrettanto certo, anche in ragione della sua piacevolezza di
lettura e della relativa completezza dell’apparato biblico-discografico che lo completa”
(Luca
Cerchiari, Musica Jazz)
"...il genere che ha in qualche modo
preceduto il jazz, vale a dire il ragtime, la cui storia è riassunta
con dovizia di particolari tecnici e storici nel volume di Gildo De
Stefano, "Ragtime, jazz & dintorni", pubblicato circa vent'
anni fa e adesso ristampato dalla SUGARCO con una prefazione di
Amiri Baraka, al secolo LeRoi Jones, autore del celebre volume "Il
popolo del blues".
(Nino Marchesano, la
Repubblica.it)
“Il
libro sul ragtime di Gildo De Stefano compie un approfondito exusus
nella storia di questo genere musicale […] fornendo spesso elementi di
valutazione che possono consentire una ‘contestualizzazione’ della
musica in rapporto soprattutto all’evoluzione storica [...] Il libro
di De Stefano è importante proprio nella misura in cui ricostruisce il
complesso tessuto dentro il quale si innesta l’espressione musicale
specifica”
(Giuseppe Merlino, Paese Sera)
“La Storia
del ragtime scritta per Marsilio
da Gildo De Stefano –un critico napoletano molto preparato sui temi
della cultura americana.- approfondisce un argomento sul quale finora
s’era potuto leggere poco di veramente significativo, almeno in
italiano […] De Stefano presenta i protagonisti di questa musica e ne
illustra le origini e la tecnica in un disegno storico che, per la sua
vivacità, si raccomanda a tutti e non soltanto agli specialisti.
Insomma un valido contributo a quella moderna cultura musicale che va
conquistando anche in Italia un sempre maggior numero di adepti”
(Salvatore
G. Biamonte, Radiocorriere TV)
“Storia
del ragtime di Gildo De Stefano viene a colmare una lacuna
importante, costituendo il primo lavoro europeo compiuto sulle origini
e la tecnica di questo genere musicale attraverso un’analisi del
lavoro dei maggiori esponenti di ragtime”
(Gianni Cesarini, Il Mattino)
"Già
l' introduzione di Gianni Minà e la prefazione del cantautore Chico
Buarque de Hollanda sono una deliziosa anticamera. Nelle quattro
sezioni in cui è composto il volume di De Stefano si troveranno
dettagli sulle origini e le usanze filocattoliche delle canzoni
brasiliane. Sui canti di lavoro e sui balli, dal samba al
bumba-meu-boi. Sulla rivoluzione iniziata negli anni Quaranta con la
bossanova di De Moraes e Tom Jobim e col Tropicalismo di Caetano
Veloso. Fino a giungere alla recenti produzioni di Arto Lindsay e
Tribalistas"
(Gianni Valentino, la Repubblica)
“Con rigore storico ma soprattutto
con la passione del musicologo, De Stefano ci racconta l’affascinante
storia del jazz dal 1619 al 1919”
(Giuseppe
Randazzo, Domenica del Corriere)
"Il merito di De Stefano è quello di aver
raccolto ogni materiale culturale possibile su questo genere
musicale [...] in Italia per lungo tempo non c'è stato un libro che
non fosse americano. Questa lacuna è stata colmata da De Stefano..."
(Annamaria Alagna,
L'Indipendente)
“Lo studio di De Stefano si segnala
proprio per l’ampiezza del ventaglio di interessi che sa coprire,
proponendo una lettura comparata, e a tratti davvero entusiasmante […]
di documenti e fonti storiche e di ipotesi critiche elaborate nel
corso della lunga storia dell’esegesi del fenomeno jazzistico”
(Francesco Durante, Il Mattino)
"Il libro che De Stefano dedica alla
memoria di Giancarlo Siani, col quale ha percorso un tratto
significativo di strada comune, spazza via certo sciacallaggio
mediatico. Infatti è la conferma di come nella giostra mediatica
scatenatasi all'indomani della sua morte [...] ognuno ha cercato di
portarsi a casa delle sue spoglie, per crearsi a seconda dei casi un
alibi o un lasciapassare gratificante per il proprio curriculum"
(Antonio Filippetti, la
Repubblica)
“Lo studio di De Stefano reca un
importante contributo non soltanto alla conoscenza di questa musica ma
specialmente a quelle radici sociostoriche verso le quali molti (anche
critici esperti) guardano oggi con indifferenza, forse frastornati dal
grande boom che sta fittiziamente accompagnando ogni musica di enorme
significato umano, civile e d estetico…”
(Walter Mauro, Il Tempo)
“(Trecento anni di jazz )
titolo volutamente provocatorio […] inizia in maniera molto
interessante, raccontandoci con taglio filosofico-antropologico
modelli sociali e teorie razziali […] nonostante la vasta e lodevole
utilizzazione di una bibliografia in gran parte poco conosciuta in
Italia…”
(Claudio Sessa,
Musica Jazz)
"Caro Giancarlo...contribuisce a
chiarire molti aspetti della vita del giornalista ucciso dalla
camorra e a rendere onore al senso più profondo dell'impegno di
Giancarlo Siani"
(Ugo Cundari, Il Mattino)
“…non a caso l’opera di De Stefano
è la prima e unica storia del ragtime realizzata in Europa.”
(L’Unità)
“Una buona storia, la migliore e
la prima, del jazz a Napoli e regione, raccontata da un giornalista
napoletano già autore di vari volumi su quello americano…)
(GianMario Maletto, Musica Jazz)
“Vesuview
Jazz va a colmare, sia pur parzialmente, una lacuna […] De
Stefano non traccia classifiche, sta attento alle dimenticanze, tenta
un censimento quanto più completo dei musicisti e degli operatori del
settore…”
(Federico
Vacalebre, Il Mattino)
“Con la consueta e paziente
ostinazione dello storico, ancora una volta Gildo De Stefano ha
confezionato un prodotto editoriale di grande utilità […] che va a
colmare un vuoto bibliografico di circa ottanta anni di musica
afroamericana a Napoli e in Campania, corredato anche da un ampio
indice di nomi”
“Sfuggendo ancora una volta alle
partigianerie della critica militante, De Stefano rilegge un secolo e
più di musica brasiliana, dalle origini ai giorni nostri […] senza
perdere mai di vista i movimenti e i personaggi musicalmente più
significativi…”
(Stefano De Stefano, Corriere della
Sera)
“Frammenti
di jazz ricostruiti in un volume dei ricordi, con fatti, date,
curiosità e aneddoti di una storia del jazz in Campania che adesso può
essere piacevolmente riletta nel meticoloso lavoro di Gildo De
Stefano”
(Nino
Marchesano, la Repubblica)
“De Stefano riesce a tracciare un
quadro di quegli anni offrendo una panoramica e cogliendo, allo stesso
tempo, l’entità del singolo […] De Stefano accompagna il lettore in un
itinerario lungo e articolato senza perdere di vista i dettagli e
soprattutto il motore di questo processo”
(Donatella Gallone, Il Giornale di
Napoli)
“Gildo De Stefano ha fatto un tuffo
nel passato con l’emozione di chi va a scoprire una terra dimenticata
[…] Il libro di De Stefano obbliga ad una lettura spesso attenta. In
esso si alternano racconto, informazioni e riflessioni […] Si sente
nello stile una partecipazione accorata per questa vicenda, come se
per l’autore il feeling col jazz corresse sul filo di una
‘negritudine’ ancora viva nel golfo di Napoli”
(Sandro Petrone, RAI-TG2)
“Con Trecento anni di jazz De Stefano chiude una trilogia […]
offrendo una panoramica che oltre la storiografia musicale e le
tecniche e le evoluzioni del jazz, elementi indubbiamente basilari ma
non totalizzanti”
(Goffredo
De Pascale, Il Giornale del Mezzogiorno)
“Dalla
lettura di Il popolo del samba di Gildo De Stefano le
motivazioni che la musica brasiliana, a causa della sua trasversalità,
per decifrare il complesso universo brasiliano, appaiono chiarissime,
avvalorate dall’impostazione storiografica che l’autore ha conferito
al testo”
(Fabio Germinarlo,
Musibrasilnet)
“Quella
di De Stefano è una disamina sapientemente articolata, che parte dai
prodromi fin poi ad approdare alle diverse evoluzioni del samba […] De
Stefano ha colmato una lacuna italiana in atto da ben mezzo secolo,
pubblicando una storia completa, minuziosa sulla musica popolare
brasiliana…”
(Annamaria
Alagna, Roma)
"Gildo De Stefano ci illustra il
percorso musicale di questo popolare genere strumentale diffusosi in
America dalla seconda metà dell'Ottocento, con particolare
attenzione verso la produzione di Scott Joplin [...] creando dei
modelli dove l'invenzione e l'originalità sembra primeggiare sulla
forma"
(Alessandro Annunziata, Nuova
Rivista Musicale Italiana)
"Il
merito di De Stefano è quello di aver raccolto certosinamente ogni
materiale culturale possibile su questo genere musicale che ancora
oggi è diffuso enormemente al di qua e, soprattutto, oltreoceano in
rassegne e festival internazionali"
(Giorgio De Scisciolo,
Jazzitalia)
"Gildo De Stefano ha dedicato un saggio
ampio, articolato, un atto d'amore verso questo genere musicale più
ancora che una pubblicazione scientifica
[…] sulla cui conoscenza c'era in Italia
una vistosa lacuna, finalmente colmata dallo stesso De Stefano. Un
libro che si legge tutto d'un fiato, come un romanzo avvincente,
senza annoiarsi mai. Come quando si ascolta il ragtime, appunto"
(Maurizio Piscitelli, Napolipiù)
"Dopo la trilogia nera, così potremo
definire i libri sul jazz, che lo hanno visto imporsi come saggista
musicale, De Stefano affronta con nuovo stile, più discorsivo e
avvezzo all'aggettivazione, la narrativa...con una scelta di
personaggio non casuale"
(Goffredo
De Pascale, NAPOLICITY)
“Chi non ama il
samba / non è una buona persona / è marcio nella testa o malato nei
piedi” dice l’epigrafe (tre
versi del musicista Dorival Caymmi) in testa al capitolo sulle
origini: Gildo De Stefano, sano di mente e di piedi, ha scritto una
dichiarazione d’amore al samba ed ai brasiliani.
(Mario Pagano,
NapoliOnTheRoad)
"Scorrendo le pagine del libro di De Stefano alla scoperta di “The
Voice”, (come si faceva chiamare lui) “l’idolo delle adolescenti” di
quegli anni, viene alla luce un Sinatra fin da bambino amante della
musica, dell’arte del cantare"
(Valentina
Andalusia,
Rinascita)
"Tra le
centinaia di biografie poche sono quelle che hanno dato il giusto
risalto alle origini italiane –o meglio, siciliane– di Frank
Sinatra; nemmeno quella commissionata dalle figlie, Nancy e Tina, a
Charles Pingione, il portavoce dello stesso cantante.
Ha colmato la lacuna Gildo De Stefano,
già avvezzo alle biografie di grandi musicisti...[…]"
(Blitz,
quotidiano on line)
"La biografia
su The Voice scritta da De Stefano si potrebbe definire unica
in Italia (ma a questo punto unica nel mondo), in cui il musicologo
partenopeo approfondisce le sue ricerche nel profondo sud italiano,
andando a scovare le più recondite origini di Frankie a Lercara
Friddi, percorrendo l'intero territorio della Trinacria e
contattando gli ultimi eredi del grande crooner americano
[…] come l'aver riportato l'intrigante cronaca dell'ultima
esibizione italiana di The Voice a Pompei..."
(Gianni Blasio,
Corriere dello Spettacolo)
"I suoi abituali
lettori sono abituati ad una scrittura saggistica poiché De Stefano
è soprattutto un musicologo, tuttavia in È troppo tardi per
scappare è riuscito a far trasparire dal tessuto dialogico la
potenza e la capacità rappresentativa...[...] Una storia sociale
del jazz
è un'opera decisamente innovativa data la una carenza di trattati
socio-antropologici sulla musica afroamericana colmando quella
lacuna lasciata negli anni Settanta dal grande storico mondiale
Hobsbawm"
(Annamaria Alagna,
LEGGERE:TUTTI)
"Ma qui sta
poi il pregio dell'opera letteraria di De Stefano, che riesce a
darci la misura linguistica del suo talento grazie alla costruzione
di un'unità di linguaggio che è al tempo stesso preciso e allusivo,
immediato ed evocativo, come accade appunto agli scrittori veri"
(Antonio
Filippetti, la Repubblica)
"Quella di De Stefano
è la denuncia di un modo di pensare. O di non pensare. Perché chi
pensa deve sempre rinunciare a vivere e a chi vive non occorre
pensare. E' così, proprio quello per cui l'uomo è stato
giudicato tale, la sua ragione, alla fine lo inchioda"
(Eleonora
Giugliano, Roma)
"Di questo
universo senza speranza De Stefano coglie -grazie proprio alla
scelta del registro linguistico- l'aspetto più sensibile e indifeso,
ponendo in primo piano la condizione femminile, ovvero delineando le
storie intorno alle donne cosiddette d'onore ma che alludono ovvero
interpretano e addirittura testimoniano un'esperienza infima e
subumana"
(Biblioteca
Digitale sulla Camorra e Cultura della Legalità, Dipartimento
Studi Umanistici "Federico II" Napoli
"Non è la
prima volta che De Stefano, saggista musicale, affronta una prova
narrativa. Già finalista, negli anni '90 al Premio Calvino,
l'autore disegna in E' troppo tardi per scappare, la
psicologia di Patrizia, Veronica, Carmela, e Nunziatina. Quattro
donne d'onore"
(Il Brigante -
Periodico per il sud del 3° Millennio)
"Una
storia sociale del jazz
è
interessante, a tratti ostico, ma indirizzato anche a chi non è così
pratico di jazz, ma vuole comprendere una fetta importante di
cultura americana, partendo da un terribile paradosso. Infatti è
brutto a dirsi, ma senza le navi negriere, senza la schiavitù e la
segregazione di manodopera importata a forza dall’Africa, oggi la
musica americana sarebbe completamente diversa, per non parlare
della società"
(Alessio Brunialti,
La Provincia di Como)
"Questa 'storia sociale del jazz' si
inserisce di tutto diritto in quelle decisamente innovative, dal
momento che è in atto una grave carenza di trattati
socio-antropologici sulla musica afroamericana; in questo modo De
Stefano ha colmato quella lacuna lasciata da più di 40 anni in
questo peculiare segmento musicologico"
(Daniele Panico,
Roma)
"Se è pacifico che
l'improvvisazione resta all'interno di questo universo musicale un
dato imprescindibile, lo sguardo socio-antropologico di De Stefano
affonda nella dinamica dei rapporti sociali più disparati in esso
contenuti. La dimensione sociale è vasta per definizione;
l'approccio di De Stefano è storico e teorico insieme..."
(Michele Lupo,
Alibi on line)
"Il titolo potrebbe
sembrare pleonastico: la storia del jazz è sociale, poiché proviene
dalla schiavitù, dal concentrazionismo, dalla segregazione, dalla
rivolta e dalla ricerca di un'identità. Ma De Stefano è un sociologo
della comunicazione, il suo sguardo sulla musica nera ha come
osservatorio privilegiato l'idioma musicale come fatto sociale"
(Donato Zoppo,
Rockerilla)
"Dalla schiavitù al
jazz liquido, sono le coordinate temporali di partenza e arrivo di
questo libro che si chiude su una suggestiva metafora ovviamente
mutuata da Zygmunt Bauman [...] Quando si arriva al jazz De Stefano
tradisce la sua passione e competenza assoluta per il ragtime..."
(Franco Bergoglio,
magazzinoJazz)
"De Stefano offre
un'indagine socio-antropologica impareggiabile, nel senso di una
innovativa ricostruzione temporale e fattuale, interpolati
all'interpretazione di vicende umane e stilistiche, in grado di
scavalcare steccati ideologici, certe vecchie letture ormai
infeltrite, schemi di riferimento ammuffiti"
(Marco Nonno
(Vice-Presidente del Consiglio Comunale di Napoli), ULISSE on
line)
"Naturalmente il
libro di De Stefano su Giancarlo Siani vuole essere anche uno
sguardo cupo e malinconico sul giornalismo partenopeo e -in senso
lato- italiano che, spesso, non rispecchia la libertà di stampa"
(Daniele Panico,
Il Cittadino Canadese)
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